IN RICORDO DI MYRON S. ROSANDER, STELLA DEL DCI – parte 2

IN RICORDO DI MYRON S. ROSANDER, STELLA DEL DCI - parte 2

Continua l’intervista che Jeff Davis di Drum Corps World fece a Myron Rosander in occasione della sua nomina a Drill Designer dei Phantom Regiment nel 2010.
L’intervista intende essere un ricordo per celebrare la memoria di uno dei più influenti artisti del Drum Corps International venuto a mancare lo scorso 20 dicembre 2015.

JD: Probabilmente sto ultra-semplificando la cosa, ma, per il fan medio, sembra che i programmi di visual migliori tendano a sacrificare la musicalità in favore di movimenti visual “scavezzacollo”. È possibile sviluppare un programma di visual competitivo ed innovativo che permetta al corps di suonare per davvero un pezzo melodico piuttosto che 4 battute, break di 32 battute di percussioni durante il quale si eseguono questi movimenti “scavezzacollo”?

MR: Questa è una domanda lecita e che si sente sempre più frequentemente negli ultimi anni. Lo standard del visual design e le responsabilità multifisiche che sono coinvolte non sono qualcosa che se ne andrà tanto presto. Comunque io penso che tu faccia riferimento ai sempre maggiori gruppi che si impegnano in movimenti espressivi (danza) come mezzo di espressione artistica.

Ci sono stati molti fattori che hanno contribuito e guidato il loro sviluppo, come la diretta influenza degli Star of Indiana nel 1993, i Blue Knights e l’approccio di Robbie Billings e i suoi “movimenti con i musicisti”, che per il suo decennio sono stati veramente all’avanguardia.

A parer mio, la velocità di movimento dei drill è diminuita ed è stata in qualche modo rimpiazzata o aumentata dall’espressione della tecnica del ballo che porta alla creazione di nuovi set, nuove sfide, nuove responsabilità, ma anche a bellezza.

Non facendo riferimento a questa evoluzione, non sono propriamente sicuro che il visual design, solo per moda, abbia introdotto quello stile di musica “chop and bop” che spesso sentiamo. Penso che più un prodotto della generazione di oggi.

Il programma totale è l’idea e, per questo approccio, spesso nasce nel designer il desiderio di combinare molte frasi musicali e molti stili assieme. Al contrario molti sosterrebbero che la varietà e la minor durata della frase musicale offrano molta più sostanza al programma totale.

Il mio parere personale è che, come la maggior parte delle cose nella vita, la verità probabilmente sia nel mezzo. Ma una melodia ininterrotta può e spesso riesce a suonare molto più reale di qualsiasi altra cosa. Potrà sembrare strano o eccentrico al fan medio, nessuno però sviluppa dei set per innervosire o annoiare a morte il pubblico con il suo stile. È semplicemente il caso in cui, col passare del tempo i processi si evolvono, in bene o in male, in qualcosa che risulta essere sempre più un ibrido della loro forma canonica.

Inoltre l’esperienza del membro medio di drum corps è più o meno la stessa di uno di 30 anni fa. Spesso dico che il burro di arachidi e le caramelle jelly hanno lo stesso sapore che avevano nel 1976, quando avevo 15 anni. È così che funziona.

45818_424600053667_3950862_nJD: Se dovessi etichettare il tuo “visual style”, come lo descriveresti?

MR: Oh oh… Etichette. Sono abbastanza contro l’etichettare le cose, ma capisco cosa tu intenda. Se posso essere spinto, penso che l’etichetta del mio stile sia “guidato dalla musica e dall’arte”. La mia motivazione per ciò che vedo, e più importante, per ciò che sento, viene direttamente dagli istinti che nascono in me dal programma musicale. Per me, la musica viene sempre al primo posto. Ciò può voler dire l’inclusione di una frase audace, un triplo fortissimo, dove gli ottoni gemono e le battecche delle percussioni volano sopra la testa del player, fino al sottile, unico suono di un campanello nella pit.

Tutto ciò conta tantissimo e deve essere espresso con il mezzo visuale in un modo che sia unico dal designer. Più facile a dirsi che a farsi, posso assicurarlo. Ma questa è la mia responsabilità e, più importante ancora, è l’opportunità di portare in un susseguirsi di eventi una visione unica dell’arte.

So che molte persone sono suscettibili al chiamare tutto ciò una forma d’arte, ma sta tutto nel modo in cui si guarda alle cose. Per esempio, il Jazz è inequivocabilmente una forma d’arte americana, come i suoi drum corps. Ed entrambi hanno seguito una strada simile per quanto riguarda la loro evoluzione e la loro complessità.

I blues e le versioni più semplici del Jazz hanno portato al be-bop e ad altri microstili. Sempre Jazz rimane, cambia semplicemente il modo di approcciarvisi. Questi approcci multipli hanno avuto luogo nel corso del tempo anche nel mondo dei drum corps. C’è spazio per tutti, ma a volte la motivazione è puramente competitiva.

Comunque, è come un ciclo naturale. Penso che noi stiamo vedendo questo cambio di direzione ora che la divisione sta diminuendo, quando molto gruppi stanno cercando di ristabilire la loro identità o di trasformarsi in qualcosa di completamente nuovo. Ancora una volta, penso che il palco sia grande abbastanza da contenere tutti gli stili che stanno fiorendo.

Ad ogni modo, riportando il tutto alla prospettiva di visual ed al mio stile personale, tutto è incentrato sull’arte per me. Sono sicuro che le carte su cui ho sviluppato (e svilupperò) i miei drill show non finiranno al Louvre di tra 500 anni vicini ai quadri di Da Vinci e degli altri grandi dell’arte, ma musicalmente e visualmente, penso che siano unici. In realtà, i lavori del drill designer Michael Gaines per i Cavaliers dovrebbero avere un posto al Louvre, secondo me.

Scherzi a parte, è solo una questione di arte, sottigliezza e musicalità della frase visuale. Questo è ciò che per me è importantissimo. Bei movimenti di drill show vanno e vengono e ne ho scritto qualcuno io stesso.

Ma il fattore che sostiene e rende memorabile un drum corps è l’emozione che un programma ed una performance trasmettono al pubblico. Questa è la forma d’arte e, più di ogni altra cosa, è ciò che il pubblico ricorderà per sempre.

JD: Quando si sviluppa un programma di visual insieme, che cosa usate tutti come motivazione o giustificazione al di fuori della musica stessa?

MR: La musica, come ho dichiarato, è la fonte principale per me. Il mio istinto, basato sui miei sentimenti è un vero elemento che mi porta a sviluppare idee originali. Le mie altre ispirazioni spesso vengono dal mondo della danza. Il Mark Morrison Dance Group of Brooklyn (New York) ha avuto l’influenza più forte su di me quando si è trattato di creare arte.

La visione di Morris del palcoscenico e il suo rapporto con i ballerini ed i corpi di ballo è fantastico, veramente. Il suo stile è incredibilmente bilanciato, organizzato ed ironico ed è probabilmente molto più vicino alla nostra attività. Ce ne sono anche altri, come Twyla Tharpe, Alvin Ailey… la lista potrebbe continuare.

Altre ispirazioni vengono dalle mie creazioni precedenti, non perchè qualcuna di esse sia particolarmente riuscita, ma per le grandi scoperte che ho fatto nello svilupparle. Ho imparato così tanto riguardo la struttura, la prospettiva, il colore e la delicatezza che nascono dalla pittura che esse mi rapiscono ancora.

Ovviamente ho dipinto solo per poco tempo e son un completo autodidatta, che è un modo carino di dire che ho dipinto alcune tra le peggiori cose immaginabili, tutto in nome dell’imparare e dell’andare avanti rispetto ad una moda purista, per ripulirmi dalle lezioni di arte seguite in classe e delle tecniche ivi apprese. Provare ed errare, con enfasi sull’errare, è la via che mi ha aiutato a sviluppare questa breve esperienza di pittore.

L’ironia in tutto ciò è che rispecchia alla perfezione come io abbia imparato a sviluppare dei drill design. Le due cose sono sinonime, una cosa che io non avevo intenzionalmente pianificato di raggiungere.

Le cose si sono semplicemente evolute in ciò che sono e ho trascorso un poco di tempo preoccupato di ciò che la gente potesse pensare, se fosse giusto o sbagliato. Tutto ciò che si può fare è il proprio meglio e, cosa più importante, cercare di non abbandonare i propri performers nel processo di sviluppo. Ancora una volta, più facile a dirsi che a farsi a volte.

JD: Ho letto che alcuni sono preoccupati del fatto che i Regiment possano assomigliare ai Vanguard. Non penso sia un problema, ma come indirizzeresti queste preoccupazioni?

MR: Questa è un’altra bella domanda che sento spesso. Molte persone han sostenuto che i miei drill con gli altri gruppi fosse “SCV specific”, cioè specializzati sui Santa Clara Vanguard. La verità è che lo stile di spettacolo dei SCV era un’idea che, nei miei molti anni di lavoro, ho sviluppato con loro e per loro.

Lo stile dei Vanguard non mi ha costruito, era più di una nuova e diversa direzione che io volevo prendere, volevo portare il corps ad un nuovo livello, oltre i miei predecessori. E, per così dire, sono stato fortunato.

La questione è che ci sono certi aspetti che mi garbano da un punto di vista artistico ed è quasi impossibile per me ignorarli e non considerarli. Detto ciò, sto ancora cercando di reinventare il mio stile e ciò è già avvenuto un paio di volte nel corso del tempo. Penso che molta gente spesso non associ il ragazzo che scrisse il drill “Il Fantasma dell’Opera” per lo show della fine degli anni 80 dei SCV allo stesso ragazzo che ha sostenuto la direzione artistica e lo stile minimalista dei Vanguard nel miei anni più tardi con loro.

Perciò so che è possibile. Ed è questo il punto su cui lavorerò per i Phantom Regiment nel 2010. Voglio che sia un nuovo inizio per entrambi, non collegato al mio passato, forgiato da una nuova vibrazione creativa.

Se posso essere assolutamente sincero, mentre manterrò i Regiment ad un livello di identità che rispecchi la loro gloriosa storia, dovrò avere attenzione per quelle persone che, spero, in futuro si lamenteranno di uno stile troppo “Regiment specific”. Questa è la mia missione e ne sono davvero entusiasta.

JD: c’è un’idea di show che non è ancora stata sviluppata ma che ti piacerebbe portare sul campo?

MR: Ci sono molte idee che mi vengono in mente e le scrivo su un diario. Quella che sovrasta tutte le altre è quella di presentare il “Ravel’s Bolero” completo, il più possibile fedele all’originale. Lo show inizierebbe, come nell’originale, molto molto minimale. Poi, continuerebbe a crescere costantemente, liberamente per tutta la parte centrale per poi restringersi e placarsi nella conclusione.

Certo, si chiuderebbe con un grande finale in crescendo… esattamente come l’originale e con lo stesso ritmo regolare. Nessun adattamento o compromesso, solo purezza. Questo sarebbe lo show nel suo insieme.

A dire il vero ho presentato quest’idea durante la stagione di pausa ancora nel 2002 ai SCV e, nonostante il brillante compositore ed arrangiatore Jim Casella fosse della mia stessa idea, ha incontrato forti resistenze da parte di altri. In tutta franchezza, questa resistenza è stata opposta a giusto titolo, visto che si trattava di un’idea veramente rischiosa. Il problema è stato che io sono sempre stat nella condizione di riuscire a rispondere alla domanda “perchè?” per quanto riguarda il concetto artistico dello sviluppare lo show nella sua totalità, ma non sono mai riuscito a rispondere al “come?”.

Una conversazione che non vorrei mai affrontare è quella con i genitori di un ipotetico Billy, cassista che ha “solamente” pagato 2000 dollari in tasse per il tour, che non comparirebbe nemmeno per 5 minuti nello show.

Inoltre, le limitazioni di tempo, anche se dal 2002 sono migliorate radicalmente, non sono ancora sufficienti a far si che uno spettacolo del genere possa essere messo in campo nello stile purista con cui è stato pensato. Magari sarà possibile, un giorno o l’altro, non si può mai dire.

JD: “Into the Light” (The new moon in the old moon’s arm), ho avuto la sensazione di sentirmi come se fossi “in diretta”. Puoi dirci qualcosa riguardo lo show e il tuo approccio agli elementi di visual?

MR: Questa è un’idea che ho proposto per la primissima volta ai Regiment nel Settembre 2009 ed è stata attuata subito, non appena in nostro entusiasmante arrangiatore per fiati JD Shaw ha avuto l’idea perfetta per l’arrangiamento musicale. E ti dirò, ha avuto ragione su tutta la linea, siccome la personificazione del sentimento della bellezza e della natura che la attraversa è eccezionale. Era esattamente quello che speravo.

Al momento (primavera 2010), sia JD che maestro e arrangiatore per le percussioni Paul Rennick lo hanno presentato in maniera splendida, è tutto molto movimentato e magnificamente produttivo. Detto ciò, è molto importante notare che questo show è “concept-driven”, cioè guidato dal concetto base, e non basato su una storia con una linea temporale predefinita. Di per sé questo aprirà ai Regiment una nuova via. È certamente una novità assoluta rispetto alle produzioni più recenti, ma ha in sé tutto il potere e la passione che sono i Phantom Regiment. La ragione per cui lo dico è perchè sarà un’esperienza per tutti vissuta nella musica.

Con riferimento al nostro programma per il 2010, infine, “Into the Light” riguarda il cerchio della vita che si apre come un fiore, un fiore di una bellezza e di un’innocenza da togliere il fiato. Poi si sviluppa, il cerchio gira tra prove e tribolazioni che accadono nello spazio e nel tempo. Tutto si risolve in glorioso finale, come se si passasse attraverso un portale che conduce in un altro mondo. Francamente, è una cosa eterea, indescrivibile e spirituale, come se i suoni fossero tutto ciò che può essere definito bellezza, molto semplicemente.

Per me questo programma ha un significato speciale. Come in molti grandi libri e film, i soggetti tratti o direttamente influenzati dalle esperienze di vita sono spesso i migliori. Nel mio caso, lascerò che la mia recente esperienza mi guidi, sperando in una via che mostri la genuinità e l’onestà della natura in tutta la sua bellezza.

Più di ogni altra cosa, questo è ciò che spero di portare ai Regiment dal 2010.

Articolo di Sara Casella